Psicologia clinica

Vengono svolti:

  • colloqui di sostegno psicologico in età evolutiva e sostegno genitoriale;
  • diagnosi e trattamento dei disturbi specifici dell’apprendimento (DSA): dislessia, discalculia, disgrafia, disortografia e del comportamento : (ADHD);
  • interventi di gruppo in età evolutiva;
  • interventi con famiglie ed adolescenti;
  • interventi con adolescenti con problematiche legate all’uso di sostanze;
  • valutazioni psicodiagnostiche.

Approfondimenti

Sono diversi i motivi per cui può essere necessario un sostegno psicologico in età evolutiva, come difficoltà emotive, disturbi del comportamento, difficoltà relazionali o scolastiche. Alcuni momenti, inoltre, possono essere particolarmente critici e richiedere un supporto specifico, come l’ingresso nella pubertà, la separazione dei genitori, atti di bullismo, una bocciatura o un trasferimento.

I colloqui con i bambini vengono realizzati con metodi adeguati alla loro età e al loro livello di sviluppo: gli strumenti prediletti, oltre al dialogo, sono il gioco, il disegno, i role playing e la costruzione di storie.

I Disturbi Specifici di Apprendimento comprendono un gruppo eterogeneo di disturbi che si caratterizzano per le significativa difficoltà nell’acquisire e nell’utilizzare le abilità di lettura, di ragionamento e calcolo, di scrittura.

Essi comprendono:

Dislessia, cioè disturbo della lettura intesa come abilità di decodifica del testo
Disortografia, cioè disturbo nella scrittura, intesa come abilità di decodifica fono-grafica e competenza ortografica
Disgrafia, cioè disturbo nella grafia, intesa come abilità grafo-motoria
Discalculia, cioè disturbo nella abilità di numero e di calcolo, intese come capacità di comprendere e operare con i numeri
Questi disturbi essenzialmente si contraddistinguono per la lentezza sia del processo di elaborazione degli stimoli (la decodifica), sia dell’andamento generale dell’apprendimento. La diagnosi di tali disturbi può essere svolta a partire dalla seconda elementare e prevede che non ci siano alla base deficit uditivi e/o visivi, un ritardo mentale, un deficit neurologico o un problema emotivo.

Diagnosi:

Secondo le linee guida ufficiali, stabilite dalla Legge n° 170 del 2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” si pone una diagnosi di disturbo di apprendimento quando, a test standardizzati di lettura, scrittura e calcolo, il livello di una o più di queste tre competenze risulta essere inferiore in modo rilevante ai risultati medi prevedibili rispetto all’età e al grado di istruzione del soggetto.

Una diagnosi precoce potrebbe ovviare alle difficoltà emotivo-relazionali e comportamentali a loro volta fonte di difficoltà di apprendimento.

La valutazione viene svolta utilizzando una batteria di test standardizzati atti a indagare le varie competenze a livello di scrittura, lettura e calcolo.

Potenziamento dei prerequisiti:

Con il termine potenziamento si intende l’insieme delle attività che mirano a favorire lo sviluppo normale di una competenza cognitiva, che può essere in ritardo, ma che non implica necessariamente una patologia; potenziando, dunque, si mira ad evolvere delle abilità secondo linee di sviluppo nella norma.

Rilevare precocemente e tempestivamente la mancata acquisizione di specifiche abilità di base e dei prerequisiti risulta molto utile al fine di predisporre adeguate strategie di prevenzione con lo scopo di limitare lo strutturarsi di difficoltà di apprendimento nella scuola primaria ed ovviare alle difficoltà emotivo-relazionali e comportamentali a loro volta connesse.

Trattamento:

Secondo le linee guida, il trattamento va attivato quando sussistono una serie di condizioni necessarie per la sua realizzazione; tra queste sono necessarie: la motivazione e la disponibilità del bambino e della sua famiglia, la presenza di una condizione clinica che limiti l’autonomia nell’utilizzo dell’abilità e, per i bambini di prima e seconda primaria, una condizione “a rischio” di disturbo di lettura e scrittura.

Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, conosciuto anche con l’acronimo ADHD (dall’inglese “Attention Deficit Hyperactivity Disorder”) è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo.

Si tratta di un disturbo neurobiologico ad esordio infantile, che si caratterizza per elevati e persistenti livelli di disattenzione, impulsività a iperattività. I livelli di disattenzione, impulsività e iperattività devono essere inadeguati rispetto all’età e al livello di sviluppo del bambino.

Non si tratta di cattiva educazione o di capricci. Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività è una vera e propria difficoltà del bambino di regolare il proprio comportamento e la propria energia. E’ opportuno non confondere la vivacità dei bambini o la loro energia in iperattività. Quest’ultima, infatti, è una condizione clinica che risponde a caratteristiche specifiche e a determinati indicatori.

I SINTOMI

L’ADHD comprende al suo interno diverse caratteristiche.

• IPERATTIVITA’. Essa è intesa come condizione clinica caratterizzata da un’eccessiva attività motoria. I bambini con iperattività si alzano spesso dalla sedia, sono irrequieti e mostrano grande loquacità. Le caratteristiche principali sono:
• forte agitazione
• marcata irrequietezza
• difficoltà a rimanere seduti
• logorrea

• IMPULSIVITA’. Il bambino impulsivo compie azioni in maniera affrettata, senza premeditazione. Il comportamento, dunque, risulta dirompente. Esso si caratterizza per:
• tendenza a interrompere
• non rispettare i turni
• compiere azioni senza pensare alle conseguenze

• DISATTENZIONE. Essa si caratterizza per la difficoltà del bambino a mantenere l’attenzione e a seguire le istruzioni. La disattenzione si caratterizza per:
• tendenza a distrarsi
• difficoltà di concentrazione
• difficoltà nel portare a termine i compiti
• tendenza ad annoiarsi facilmente

In base ai sintomi presenti, possiamo distinguere tre tipologie di ADHD:
1. prevalentemente iperattivo-impulsivo;
2. prevalentemente disattento;
3. combinato.

I bambini con ADHD possono sviluppare alcune caratteristiche secondarie, che arricchiscono un quadro già particolarmente complesso. La mancata autoregolazione e la difficoltà a mantenere la concentrazione può favorire lo sviluppo di difficoltà scolastiche, soprattutto in compiti lunghi o poco motivanti. Possono presentarsi anche difficoltà relazionali con i pari, in quanto i bimbi possono venire esclusi per le loro reazioni eccessive e la loro incapacità a regolarsi.
Molte volte, i bambini con ADHD mostrano bassa autostima e scarsa fiducia nelle proprie capacità, legate ai diversi ambiti in cui i bambini non hanno modo di dimostrare il loro valore e le loro capacità.

ATTENZIONE ALLA DIAGNOSI

Spesso si tende a etichettare i bambini perché sono attivi ed energici, ma ciò non è sufficiente. La disattenzione e l’impulsività sono caratteristiche che si possono riscontrare in tanti bambini, anche con altre difficoltà, come in casi di disturbi d’ansia e di depressione. L’ADHD, per essere diagnosticata, necessita che la sintomatologia si presenti prima dei 12 anni di età. Essa deve essere presente per un periodo prolungato e deve rispondere a criteri specifici valutabili solo da un professionista esperto. Non è facile identificare la presenza di questa difficoltà, perché spesso si ritrova combinata con altre situazioni complesse (ad esempio, con i Disturbi Specifici dell’Apprendimento), o con difficoltà di tipo emotivo-relazionali. Quando, però, i comportamenti del bambino diventano tali da meritare un’attenzione specifica, è importante approfondire e cercare di capire come affrontare la situazione.

Spesso nei bambini con disturbi dell'apprendimento vengono trascurati gli aspetti emotivi, strettamente legati alla vita scolastica e relazionale. Con l'ingresso nella scuola primaria possono iniziare a manifestarsi difficoltà emotive, in quanto vengono sperimentati i primi insuccessi. Questo susseguirsi di risultati negativi, cui si aggiungono frequenti rimproveri, è spesso fonte di frustrazione e calo della motivazione scolastica: il bambino si sente non bravo come gli altri e si percepisce inferiore ai compagni. Tutto ciò può mettere in crisi la sua autostima, la fiducia in se stesso e il livello di motivazione al successo scolastico.
I vissuti provati possono sfociare in comportamentali di tipo esplosivo, di aggressività, di rabbia e di opposizione, o al contrari di ritiro, rifiuto ed evitamento, oppure manifestarsi sotto forma di disturbi somatici, quali mal di testa, mal di pancia, nausea.

A chi si rivolgono i Gruppi di parola?

A bambini e adolescenti con disturbi specifici dell’apprendimento, che presentano difficoltà a livello emotivo, vissuti di insicurezza, inadeguatezza e scarsa motivazione nel perseguire risultati scolastici.Si tratta di percorsi strutturati, diversificati in base all’età, che aiutano a recuperare un buon livello di autostima e fiducia in se stessi. Possono essere realizzati individualmente o in gruppo.

I principali obiettivi riguardano:
• riconoscere ed esprimere i vissuti emotivi
• favorire lo sviluppo di un senso di autoefficacia e di competenza
• superare sentimenti di frustrazione acquisendo maggiore fiducia in sé stessi
• aumentare i comportamenti positivi e prevenire comportamenti disadattivi

Nel momento storico attuale, dove l’incremento di separazioni e divorzi riflette uno scenario frammentato della famiglia, si osserva che nella maggior parte dei casi la rottura coniugale non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza per la ricerca di un nuovo equilibrio in cui ancora rabbia, aggressività, frustrazione, senso di colpa circolano nel contesto relazionale con possibili conseguenze negative sui figli.
Quando i bambini sono coinvolti nella separazione dei genitori spesso non sanno bene come esprimere la rabbia, la tristezza, i dubbi, le speranze, le difficoltà che incontrano in questa fase di transizione. A volte non sanno con chi parlarne.
Per i genitori, presi dalle proprie vicende personali, può risultare difficile riconoscere il disorientamento dei figli, aiutarli a elaborare gli eventi, la sofferenza e i cambiamenti.

I Gruppi di parola per figli di genitori separati possono essere la soluzione ideale: essi nascono come intervento non terapeutico, che si colloca in ambito preventivo e di promozione del benessere. Il Gruppo di parola può essere una risorsa per i figli, ma può estendere i suoi effetti anche al nucleo familiare.
Si tratta di quattro incontri in cui i bambini, grazie al confronto e all’identificazione tra pari, imparano a mettere parola su ciò che sta succedendo; in questo percorso, strutturato e guidato da professionisti debitamente formati, i bambini imparano a dare un nome alle emozioni esperite in questa difficile transizione familiare.

I principali obiettivi riguardano:
- imparare a nominare le emozioni
- trovare soluzioni pratiche ai problemi della riorganizzazione familiare
- migliorare la comunicazione con i genitori
- rafforzare le risorse personali attraverso il confronto in gruppo
- sviluppare le proprie capacità relazionali tra pari

Le consulenze sono rivolte alla promozione del benessere dei bisogni dell’individuo e della famiglia, che saranno accolti ed ascoltati, sostenuti nelle differenti fasi del ciclo vitale e che pertanto avranno la possibilità di trovare risposte specifiche, utili per stimolare una riflessione positiva circa il superamento di difficoltà transitorie, l’educazione e la crescita dei figli e lo sviluppo delle proprie potenzialità.

Questo spazio offre un aiuto concreto per facilitare:

gestione di problematiche legate alla crescita e all’educazione dei propri figli;
gestione delle situazioni di crisi e conflittualità nei rapporti di coppia, nelle relazioni genitori-figli ed in altri contesti relazionali;
migliore crescita emotiva dei propri vissuti nelle relazioni interpersonali nel rapporto di coppia e con i figli, e sostegno nella gestione di situazioni stressanti;
sostegno per acquisire nuovi elementi di conoscenza rispetto alla fase evolutiva che il nucleo familiare sta attraversando e costruzione di strumenti per favorire un cambiamento positivo.

Le più recenti esperienze di ricerca e intervento con gli adolescenti, in particolar modo con i consumatori di sostanze, (CTRADA, Università di Miami, Cannabis Clinic; Istituto di Psychiatrie et de Psychologie Médicale du CHU Brugmann di Bruxelles, Piattaforma Adolescenti GREA, Losanna) ci dicono che, per accompagnare un adolescente non ci si può concentrare esclusivamente sui “sintomi” (comportamenti problematici, problemi scolastici, consumo di sostanze, etc) ma è necessario riportare questi nel contesto sociale, familiare e psicologico al fine di comprenderne le ragioni e i meccanismi che ad essi sottendono con l’obiettivo di rassicurare e accompagnare la maggioranza dei giovani trattati verso un futuro adulto e indipendente.
L’esistenza di un continuo processo di mutazione sociale, costringe gli adolescenti ad adattarsi ogni volta assumendo nuove forme di comportamento che si impongono come “nuove normalità” – social network, rave party, connettività continua, etc. Nella costruzione identitaria accanto ai classici bisogni di appartenenza e di riconoscimento, si aggiunge oggi il bisogno di riprodurre la propria visibilità e la propria individualità. Questo percorso, da sempre, passa attraverso pratiche di sperimentazione e di trasgressione.
Esse assumono significati e assolvono funzioni diverse, dal piacere di far festa al desiderio di essere riconosciuti dai pari, al bisogno di esplorare i propri limiti. Tutto ciò rassicura poco gli adulti. Tuttavia, pur non essendo da banalizzare, questo quadro fa parte di un percorso di sperimentazione e di iniziazione che non necessariamente conduce a condotte più gravi. Spesso sono piuttosto le loro nuove forme che ci destabilizzano maggiormente: i rave party ai quali i genitori non hanno mai partecipato, i “mega-aperitivi” con convocazione attraverso i social network o il binge drinking che causa non pochi ricoveri al pronto soccorso. Si tratta di nuovi modi di stare insieme e di rendersi visibili che i giovani creano per distinguersi dalle generazioni precedenti, pratica esistente da lunghissimo tempo.
Questa “traversata iniziatica” può prendere una brutta piega se il giovane non beneficia di una situazione personale, familiare, sociale e culturale sufficientemente protettiva, amorevole e benevola. Il sentiero verso l’autonomia, il processo di separazione dai genitori, la riformulazione delle figure d’attaccamento, l’individualizzazione, si compiono in un mondo in movimento e dalle tinte sfocate. In queste condizioni, prendere fiducia in se stessi è un’impresa difficile.
In molti casi potrebbe essere utile un accompagnamento per aiutare l’adolescente a capire i problemi, per trovare delle risorse alternative ed eventualmente più costruttive.
Il lavoro con gli adolescenti e le loro famiglie può derivare nelle sue forme attuative dai diversi orientamenti teorici della psicologia. Il tipo di intervento scelto dipende sia dalla situazione incontrata sia dall’esperienza e dal bagaglio di chi interviene. Di seguito offriamo un quadro dei modelli che ci hanno ispirato nel costruire quello del Centro di Psicoterapia Psicodinamica. Il quadro di seguito presentato non è esaustivo ma si presta ad essere integrato da ulteriori apporti di altri modelli.
Contributo dei vari modelli :

Le basi teoriche del Modello Familiare Multidimensionale (MDFT) sono state sviluppate dal professor Liddle nel 1980 presso il centro CTRADA dell'Università di Miami. Diversi studi hanno dimostrato come questo tipo di approccio familiare abbia una maggior efficacia rispetto alle terapie di gruppo, alle terapie cognitivo-comportamentali, ai progetti di presa a carico individuali o residenziali. La terapia si basa sulla conoscenza dei fattori di rischio e di protezione relativi all’uso di sostanze, tra gli adolescenti, sulla conoscenza delle tappe dello sviluppo adolescenziale, come anche del contesto familiare, promuovendo così un intervento specifico sia sull’individuo che sul proprio contesto di vita. Questo approccio sistemico deriva concettualmente dalla terapia strutturale di Minuchin e dalla terapia familiare strategica di Haley, integrato da elementi di terapia cognitiva-comportamentale, dal drug consueling e dalla terapia basata sul problem solving.
lavora su 4 assi:
• Lavorare con l’adolescente sui consumi e sul modo di comunicare con gli altri
• Aiutare i genitori nelle loro pratiche genitoriali
• Modellare le relazioni tra genitori e adolescente in modo che siano soddisfacenti
• Mobilitare il contesto scolastico ed extrascolastico intorno all’adolescente.

L’intervento precoce ha come obiettivo di meglio orientare la prevenzione e di rispondere ai problemi laddove si manifestano, senza aspettare che la situazione degeneri. Il concetto di Intervento Precoce intende coinvolgere tutti i membri della società, al fine di permettere uno sviluppo armonioso di ognuno.
E’ fondato su 4 fasi distinte:

1) Promozione di un contesto favorevole (Collettività e individui che cercano di rinforzare le loro risorse per favorire lo sviluppo di tutti)
2) Prossimità (Giovani i cui comportamenti suscitano nel loro entourage questioni che sboccano nell’apertura di un dialogo)
3) Valutazione (Giovani che accettano una valutazione)
4) Presa in carico (Giovani che entrano in un percorso terapeutico).

Il modello bio-psico-sociale è una strategia di approccio alla persona, sviluppato da Engel negli anni Ottanta sulla base della concezione multidimensionale della salute descritta nel 1947 dal WHO (World Health Organization). Il modello pone l’individuo ammalato al centro di un ampio sistema influenzato da molteplici variabili. Per comprendere e risolvere la malattia il medico deve occuparsi non solo dei problemi di funzioni e organi, ma deve rivolgere l’attenzione agli aspetti psicologici, sociali, familiari dell’individuo, fra loro interagenti e in grado di influenzare l’evoluzione della malattia.
Se l’approccio educativo e psicologico è di prioritaria importanza, è tuttavia necessario non trascurare problemi somatici legati alla pubertà e esigenze di sostegno nell’ambito della formazione (scuola o lavoro).

L’approccio sistemico presuppone che un individuo sia in interazione con il suo contesto e che i cambiamenti che lo riguardano andranno a loro volta a riguardare il suo contesto e viceversa. Nel lavoro con gli adolescenti rileviamo i seguenti elementi:
• Ci sembra inevitabile lavorare con la famiglia
• Altrettanto inevitabile è il lavoro con la rete.
• La sistemica presuppone che chi interviene non sia una persona neutra ma che partecipi al sistema e alla problematica con gli altri membri della famiglia.

Secondo la teoria dell’attaccamento i meccanismi dell’attaccamento permettono di preservare il legame vitale dei neonati con le figure che nutrono e che proteggono. Nell’uomo, che nasce prematuramente rispetto agli altri mammiferi e che utilizza le emozioni come fattore di regolazione essenziale nelle interazioni, i meccanismi dell’attaccamento rivestono un ruolo complesso e determinante nella strutturazione della sua personalità. L’impronta di attaccamento di base si verifica nei primi mesi di vita; l’adolescenza, che è un periodo di vita cruciale di rimescolamento dei legami con le figure di riferimento, si appoggia sulla qualità dell’attaccamento sviluppato nella prima infanzia. Si tratta di avere un attaccamento abbastanza sicuro per potersi autonomizzare. L’involarsi dal nido genitoriale si realizza nella maggior parte dei giovani con livelli di timore o di ansia tollerabili. Alcuni comportamenti dell’adolescente possono svolgere la funzione di limitare questa ansia nei giovani il cui attaccamento risulta insicuro.
Dai primi anni di vita il bambino sviluppa con le sue figure di cura un modello di base che determinerà nel resto della vita il suo modo di relazionarsi affettivamente con gli altri. Se un bambino vive le sue prime relazioni su una base di insicurezza, ci sono buone probabilità che i suoi schemi di interazione futura siano impregnati di questa insicurezza. La sfida allora sarà quella di creare dei legami di sicurezza sufficiente per consentirgli un cambiamento, o almeno di offrire una rassicurazione sufficiente per preparare un cambiamento e per vivere bene con la propria insicurezza.

Secondo il modello Transazionale di Eric Berne le persone, gli adolescenti, sono innanzitutto ok. Con questo si intende che essi sono capaci di essere amorevoli, collaborativi, intelligenti e sani. Allora perché si dice che agiscono così male od assumono comportamenti fortemente a rischio della propria salute? In parte questo, come detto prima, corrisponde ad un bisogno di differenziazione ed allontanamento dai modelli genitoriali. Per poter identificarmi in un Io Adulto ho bisogno di conoscere il limite, di sfidare la regola per essere io ad impormela. In questi casi il comportamento trasgressivo si limiterà al periodo adolescenziale e scomparirà man mano con il raggiungimento della maggiore età. Ma in Analisi Transazionale questi comportamenti possono anche essere il frutto di copioni distruttivi. Corrisponderebbero a scelte inconsce riguardanti la vita che inducono i bambini ad allontanarsi gradualmente da quello che Claude Steiner chiama “il proprio centro”.
Se un piccolo viene abituato a non concentrarsi troppo sulle proprie sensazioni, a non dare credito ad esse, ma piuttosto ad ascoltare ciò che gli altri indicano come debba essere il nostro piacere ecco che è possibile che il ragazzo inizi a ricercare questo benessere non più attraverso ciò che sente ma attraverso ciò che la sostanza gli permette di avvertire. Se ci poniamo in ascolto del nostro corpo sentiamo che le sigarette fanno male, che l’aria pura fa bene, che l’alcool oltre una certa misura fa stare male mentre essere innamorati fa stare bene. Allora, ci si potrebbe chiedere: perché questi comportamenti contrari alla salute sono così diffusi e praticati soprattutto nel periodo adolescenziale? Perché questi ultimi consentono un seppur breve ed effimero contatto con il proprio centro. L’adolescente è alla disperata ricerca di un modo per poter ritrovare quel collegamento. Sente di averlo perso allontanandosi dall’infanzia, non sa più ricreare quella magia autonomamente. La pressione ambientale, famiglia, scuola, genitori, società lo investono di messaggi ormai rivolti ad una crescita, una prestazione, un risultato. Il suo valore non dipende più semplicemente dal fatto di esistere, ma da quanto si dimostra abile in diversi contesti. Questa pressione associata a messaggi distorti provenienti dai genitori riguardanti il sentire le emozioni possono indurlo alla ricerca di una disperata via di fuga, ristabilire un contatto con la parte più gioiosa e spensierata di sé. Ecco allora dove entrano in gioco le sostanze, il gioco d’azzardo, il cibo, il consumismo più sfrenato, la ricerca di una sessualità scollegata dall’affetto così come la crudeltà ed il cinismo di alcuni atteggiamenti da branco. Compito dell’Analista Transazionale è comprendere insieme al giovane ed ai famigliari se dietro quei comportamenti non vi sia appunto una scelta autodistruttiva, un copione tragico. Non per convincere la persona a cambiarlo, ma permettere consapevolezza e responsabilità dei propri agiti ed eventualmente modificarli decidendo di vivere in modo sano e a lungo piuttosto che ritrovarsi più avanti negli anni e scoprire di aver accumulato danni non più riparabili a causa di scelte inconsce effettuate quando erano bambini e pensavano da bambini.

Nel corso dei loro studi, precisamente quelli con persone decise a smettere di fumare, Prochaska, Norcross e Di Clemente (1994) hanno sviluppato un modello degli stadi del cambiamento per popolazioni adulte e dipendenti (Fig 5, pag 28) [Pre-contemplazione, contemplazione, azione, decisione, mantenimento, ricaduta]. Si può restare bloccati o rimanere per diverso tempo in uno stadio, ma l’ordine non potrà cambiare e non si potrà parlare di cambiamento senza essere passati da tutti gli stadi.
Gli autori hanno constatato che è possibile passare attraverso i 5 stadi e mantenere il cambiamento ottenuto già dal primo tentativo. Tuttavia ciò costituisce l’eccezione e non la regola poiché la maggior parte della popolazione compie delle ricadute.
Bisogna dunque mettere in conto che una ricaduta è da prevedere, che è normale e che fa parte del processo di cambiamento e/o di guarigione e che non è un “passo indietro”.
Identificare lo stadio nel quale si trova il giovane che si rivolge a noi ci permette di aggiustare il tiro. Non pianificheremo nello stesso modo una presa in carico di qualcuno che non è cosciente del problema (pre-contemplazione) e di qualcuno che si sta preparando a fare un azione concreta (contemplazione).
Questo modello è soprattutto pertinente per coloro che hanno un consumo con problematica di dipendenza. Per gli adolescenti, lo stadio nel quale si trovano più spesso è quello della pre-contemplazione che possiamo anche chiamare “della passione” o “della luna di miele”.
Il lavoro con la famiglia
Perché lavorare con la famiglia
La presa in carico dei problemi di consumo esige un approccio integrato che tenga conto di tutta la complessità della situazione, secondo il modello bio-psico-sociale.
A livello individuale, il malessere vissuto dall’adolescente si inscrive il più delle volte nel contesto familiare (rete primaria) il cui equilibrio viene messo in crisi.
Le famiglie, di fronte ai cambiamenti degli adolescenti, non hanno altra scelta che rinegoziare le condizioni di vita comune permettendo così il mantenimento di un equilibrio. Per alcune di loro le risorse attivabili sono sufficienti per assumersi il rischio del confronto. Per altre il compito si rivela arduo o insormontabile In questo contesto, è l’adolescente che “diventa” il problema. Tutta l’attenzione si focalizzerà su di lui mentre dovrebbe essere tutto il contesto familiare a rimodulare le sue interazioni.
Obiettivi di guida e sostegno parentale possono aiutare i genitori ad aiutare i propri figli.

Sono rivolte a chiunque desideri avere una diagnosi approfondita della propria struttura di personalità, quoziente intellettivo o capacità genitoriale necessaria per le pratiche di adozione, affidamento di minori. Sono svolte con l'utilizzo di test, aggiornati e validati a livello internazionale.

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